L'espressione "pane nostro quotidiano" o, meglio ancora, "pane di ogni giorno", contiene anche l'idea della "misura": mensura cibi , come recitano le regole monastiche. Sì, c'è una quantità stabilita e limitata di pane da mangiare, proprio perché lo si possa spezzare e condividere così che tutti ne abbiano.
Oggi, in tempo di opulenza, non siamo più sensibili alla "misura", se non per ragioni dietetiche; ma in tempo e in luoghi di miseria a troppi poveri manca la possibilità di avere la "misura" necessaria di cibo. Capiamo allora perché il pane è sempre "nostro", non è mai "mio". Ora, se è "nostro" è anche "loro", perché appartiene a tutti: alla tavola del mondo tutti sono convocati per mangiare e bere insieme. Mai senza l'altro a tavola, perché essa è la vita, è convivio, luogo del con-vivere.
Pensare e vivere il cibo come alimento condiviso significa comprendere in profondità che ciò che ci fa vivere è il rapporto con l'altro, il dare e il ricevere il cibo, non il semplice appropriarsene e consumarlo.